R.I.P. Mac Rebennack a.k.a. Dr John

Con grande tristezza e dispiacere ho saputo della dipartita di un grande protagonista della musica.

Per celebrare questo grande artista ho pescato su You tube un brano a caso della sua immensa discografia, Lay My Burden Down (featuring Mavis Staples & The Dirty Dozen Brass Band)

Ciao mitico Dr John 😢😢

Johnny Sansone – Hopeland (Short Stack Records)

Front

Nato nel New Jersey ma residente ormai da quasi trent’anni a New Orleans, Johnny Sansone è stato attratto sin da giovane da questa città in quanto si era innamorato dei ritmi cajun e zydeco degli oriundi creoli e canadians che abitavano in Louisiana e volle imparare a suonare la fisarmonica. Poi in seguito l’interesse si spostò sull’armonica e qui diventò negli anni sempre più richiesto dalle leggende locali,come i fratelli Neville, Monk Boudreau, Jon Cleary, Dr John tra gli altri, ed acquisì anche il soprannome di Jumpin’ Johnny
spostando il suo interesse al blues del delta.
Prodotto come i precedenti sette album da Anders Osborne (artista svedese trapiantato nella Crescent City da inizio anni ’90, anche se recentemente è emigrato con la famiglia nel sud della California) aiutato alla consolle con la pluripremiata ai Grammy, Trina Shoemaker si avvale anche di alcuni ospiti importanti come i fratelli Dickinson dei North Mississippi Allstars e Jon Cleary. Il disco in questione dal titolo “Hopeland” è composto da soli otto brani per un totale di circa 35 minuti di musica ma in questo caso non è un difetto in quanto la musica è suonata in maniera essenziale e senza sprechi.
“Derelict Junction” è un blues elettrico dal suono classico ma bello tosto con l’armonica e la voce di Sansone che si contrappone alle chitarre superbe di Luther Dickinson ed Anders Osborne.
“Delta Coating” è più ariosa ed incontra il country del sud, dal Tennessee alla Louisiana, qui è grande il lavoro di Luther Dickinson alla chitarra slide ed il contorno con l’ armonica di Sansone.
“Hopeland” è fantastica ed è stata scritta con in mente il famoso brano, ormai un classico del sud degli States, “Across the Borderline” brano scritto da Ry Cooder, John Hiatt e dal padre di Cody e Luther , Jim Dickinson ed interpretato da decine di artisti (oltre allo stesso Cooder ed Hiatt anche da Bob Dylan, Willie Nelson, Willy De Ville, Freddy Fender, Springsteen, ecc) e ne ricalca l’atmosfera rilassata, una grande ballata intensa con un ottimo intervento alla slide di Luther, del piano di Cleary ed una grande interpretazione vocale di Johnny.

“Plywood Floor” è un rock’n’roll blues tirato e pieno di energia, con una bottleneck guitar da favola (che ricorda il miglior Ry Cooder) e grandi interventi di armonica. “Johnny Longshot” è rock blues sudista stile Little Feat
con la slide di Luther Dickinson sugli scudi mentre “Can’t Get There From Here” torna con prepotenza al sound blues con innesti boogie, gli interventi dell’armonica e la voce calda di Sansone fanno il resto.
“One Star Joint” è classic blues from Chicago con armonica e chitarre che si sfidano all’ultima nota, in un train sonoro di grande impatto. La voce di Sansone qui mi ricorda molto quella di Omar Dykes degli Howlers.
Chiude il disco il brano “The Rescue” una ballata tipica del sud degli States con la voce pacata di Johnny ed un accordion che sono protagonisti ma non meno importanti sono la slide di Luther ed il piano posti in sottofondo, che ci donano una melodia affascinante e molto rilassata.

Voto: ***1/2

Tracklist:

1. Derelict Junction (4:23)
2. Delta Coating (4:03)
3. Hopeland (5:24)
4. Plywood Floor (3:47)
5. Johnny Longshot (4:03)
6. Can’t Get There From Here (3:16)
7. One Star Joint (5:18)
8. The Rescue (4:39)

Helen Rose – Trouble Holding Back (Monkey Room Music, 2019)

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Da un disco d’esordio di una giovane cantautrice e sax player prodotto da Marvin Etzioni (ex Lone Justice) speravo tanto in una nuova Maria McKee, complice anche la bella cover dell’album.
Helen Rose ha una grande voce e “Trouble Holding Back” è un disco partorito con un bel suono marcatamente blues con echi country, ma purtroppo non si può accostare alla brava McKee. Poco male, infatti il disco si apre alla grande con “Love & Whiskey” con il sax di Helen che conferisce ed accentua le atmosfere R & B e southern boogie.

Suoni in bilico tra il classico sound di New Orleans, Muscle Shoals ed il country stile anni ’70 da Nashville che troviamo nella successiva “Flatlands Of North Dakota” con un groove alla Bobbie Gentry e Linda Ronstadt.
Il rapporto che la giovane cantante ha con la musica dei suoi artisti di riferimento lo sintetizza prima con una cover importante come “When The Levee Breaks”(resa celebre dai Led Zeppelin ma in realtà risale al 1929 cantata da Memphis Minnie) a seguire l’accattivante “Mississippi Moon” dalle atmosfere swamp, poi la commovente e minimalista con solo piano e voce “The Mountain”, cover del grande Steve Earle e la successiva “John Coltrane on The Jukebox” densa di soul e blues che si pone a metà tra Mavis Staples e Rickie Lee Jones.
“Oh Glory Be” aggiunge uno strato di gospel con fiati e cori ma nel contempo rende omaggio anche al sound caro ai mitici Creedence Clearwater Revival, per chiudere con “Love On Arrival” una scarna ballata dove è presente solo Etzioni alla chitarra ed Helen Rose alla voce e sax.

Dalle note interne del booklet Marvin Etzioni non si limita a produrre ma suona anche chitarra e mandolino ed è molto importante nella stesura dei testi, con due brani originali autografi e coautore in altre cinque canzoni.
Un disco d’ esordio con diverse performance davvero buone e di gran classe. Promosso.

Voto: ***

Tracklist:

01. Love & Whiskey 03:26
02. Flatlands Of North Dakota 05:05
03. When The Levee Breaks 05:11
04. John Coltrane On The Jukebox 02:07
05. Mississippi Moon 02:56
06. A Dangerous Tender Man 05:12
07. Trouble Holdin’ Back 05:17
08. Oh, Glory Be 02:57
09. The Mountain 04:05
10. Love On Arrival 03:06

Tony Joe White – Bad Mouthin’ (Yep Roc Rec., 2018)

cover

Il settantacinquenne Tony Joe White ha ancora voglia di mettersi in gioco nonostante abbia superato i cinquant’anni di carriera con il suo personale quanto scheletrico blues votato al boogie malsano delle paludi della Louisiana, sua terra natale. La sua voce, pur non essendo mai stata particolarmente espressiva ma unica e profonda, ora risente dell’età avanzata e diventa ancor più cupa e tesa ma forse meglio si adatta a questi blues scarni e con la strumentazione ridotta all’osso (voce, acustica, armonica e poco altro).
“Bad Mouthin'” che apre il disco è un brano scritto da White nel 1966 e mai pubblicato sinora, è un blues classico, essenziale e diretto con la presenza della sezione ritmica e dell’armonica. “Baby Please Don’t Go” è la prima cover presente nel disco (Big Joe Williams, ma interpretata da moltissimi artisti) e suppongo la conosca chiunque; viene riproposta solo voce, armonica e battito del piede per tenere il tempo come la successiva “Cool Town Woman”, acustica, scarna ed anacronistica ma piena di fascino e di forza espressiva.
In “Boom Boom” di J. L. Hooker viene aggiunta la batteria e la Fender del ’65 del protagonista ed il brano diventa più rock e ricorda la famosa versione dell’autore. “Sundown Blues” è lenta, con l’armonica che squarcia la notte.
“Bad Dreams” è un altro omaggio al boogie acustico di John Lee Hooker della durata di meno di un minuto mentre “Down The Dirt Road Blues” è elettrica, mi ero quasi abituato all’ ambientazione intimistica dei brani precedenti, mentre qui il ritmo della batteria incalza, e lo fa con una canzone di Charlie Patton.
Altre canzoni si susseguono, come “Big Boss Man” di Jimmy Reed, “Rich Woman Blues”, “Awful Dreams” di Lightnin’ Hopkins’ e “Stockolm Blues” hanno un suono primitivo ed essenziale, l’esatto contrario della musica che domina ai giorni nostri. Mentre la finale ” Heartbreak Hotel” di Elvis viene ricollocata dove questa musica ebbe origine, tra le paludi ed i campi di cotone.

Per pura coincidenza ho programmato le mie impressioni sul nuovo disco di Tony Joe White nel giorno della sua morte, avvenuta in seguito ad un attacco di cuore ed ecco allora che queste poche righe assumono maggiore importanza in quanto ci troviamo tra le mani l’ultimo suo disco. Non ho voluto modificare nulla di quanto ho scritto in precedenza.
Riposa in pace, caro T.J.

Voto: ***1/2

Tracklist:

1 Bad Mouthin’ – Tony Joe White
2 Baby Please Don’t Go – Joseph Lee Williams
3 Cool Town Woman – Tony Joe White
4 Boom Boom – John Lee Hooker
5 Big Boss Man – Al Smith, Luther Dixon
6 Sundown Blues – Tony Joe White
7 Rich Woman Blues – Tony Joe White
8 Bad Dreams – Tony Joe White
9 Awful Dreams – Sam “Lightnin'” Hopkins
10 Down The Dirt Road – Charley Patton
11 Stockholm Blues – Tony Joe White
12 Heartbreak Hotel – Elvis Presley, Mae Boren Axton, Tommy Durden

Cedric Burnside – Benton County Relic (Single Lock Rec., 2018)

Cedric Burnside

Batterista molto apprezzato nella scena blues di Memphis sin da quando sostituì alla tenera età di tredici anni il padre Calvin Johnson dietro i tamburi nella band del nonno, il mitico Robert Lee Burnside, ma col tempo è diventato anche un buon chitarrista e cantante, prima incidendo in coppia con Lightnin’ Malcolm e poi come solista (ottimo il disco del 2015 a nome Cedric Burnside Project dal titolo “Descendants of Hill Country”) continuando in parallelo l’attività di batterista come session man per molti artisti come Kenny Brown, Jimmy Buffett, T-Model Ford, Paul “Wine” Jones, Widespread Panic, Afrissippi, North Mississippi AllStars e the Jon Spencer Blues Explosion.
Il nuovo disco è una conferma di quanto abbiamo ascoltato in passato e ora unisce le forze con Brian Jay, batterista pure lui ma anche abile chitarrista slide proveniente da New York ed il blues tipico delle Mississippi Hills si fonde con sonorità più moderne ma zeppe di potenti riff scambiati tra chitarra e batteria come l’iniziale “We Made It”, la successiva ” Get Your Groove On” ha un ritmo ossessivo con accenti rock mentre “Please Tell Me Baby” è un bel brano boogie blues che si avvicina molto alle canzoni degli amici Cody e Luther Dickinson (leggi N.M.A.S).

Tutti i brani presenti sono degni di menzione: dal potente rock blues “Typical Day” a “Hard To Stay Cool” slow blues governato da una ottima chitarra slide, dal country blues “There is so Much” alla cover del brano blues “Death Bell Blues” datato 1928 e ripreso da molti bluesmen, tra cui nonno R.L. e Muddy Waters lento, ipnotico e notturno.
“There Is So Much” è un gospel folk di grande caratura, mentre “Call On Me” è uno slow blues rarefatto e d’atmosfera. Con “I’m Hurtin'” siamo in territorio r’n’r boogie , per chiudere alla grande con ” Ain’t Gomma Take No Mess” portentoso blues governato dalla slide e dalla batteria che fa salire la temperatura.
Le varie generazioni dei Burnside si alternano nel rimanere uno dei simboli del blues del delta del Mississippi.

Voto: ***1/2

Tracklist:

1 We Made It
2 Get Your Groove On
3 Please Tell Me Baby
4 Typical Day
5 Give It To Me
6 Hard To Stay Cool
7 Don’t Leave Me Girl
8 Death Bell Blues
9 There Is So Much
10 Call On Me
11 I’m Hurtin
12 Ain’t Gonna Take No Mess

Discografia:

2006 The Record – Burnside Exploration
2007 Juke Joint Duo – Cedric Burnside and Lightnin’ Malcolm
2008 Two Man Wrecking Crew – Cedric Burnside and Lightnin’ Malcolm
2011 The Way I Am – Cedric Burnside Project
2013 Hear Me When I Say – Cedric Burnside Project
2014 Allison Burnside Expres – Cedric Burnside and Bernard Allison
2015 Descendants of Hill Country – Cedric Burnside Project
2018 Benton County Relic – Cedric Burnside

Billy F. Gibbons – The Big Bad Blues (Concord Rec., 2018)

Billy Gibbons

William Frederick Gibbons, leader del famoso gruppo texano ZZ Top finalmente è riuscito nell’intento di riportare interesse alla sua musica.
Il trio ha da anni perso per strada la qualità musicale che li contraddistingueva agli esordi che in parte è rimasta nei loro live mentre in quasi cinquant’anni di carriera hanno pubblicato soltanto una quindicina di dischi di cui una buona metà abbastanza discutibili.
Come molto discutibile è stato l’esordio solista di Billy pubblicato nel 2015 ed intitolato “Perfectamundo” un pastrocchio tra rock blues e musica cubana.
Ora con questo nuovo disco le cose cambiano e virano verso musica di qualità, ma soprattutto il disco che ci si attende da un veterano del rock blues come lui.

“The Big Bad Blues” è un disco diretto, composto da lurido e fumoso rock boogie come l’iniziale “Missin’ Yo Kissin’?”, up-tempo boogie blues sullo stile del grande John Lee Hooker ha un suono denso, zeppo di chitarre e inframmezzato dall’armonica di James Harman; sembra di ascoltare la colonna sonora di un american B-movie (spesso il trio texano è stato inserito nelle colonne sonore di diversi film, in quanto il loro sound ben si presta, in particolare, nelle scene girate in localacci fumosi dove sembra stia per scatenarsi una rissa da un momento all’altro….).

Oltre al citato Harman all’armonica nel disco suonano Elwood Francis alla chitarra ed armonica, Matt Sorum e Greg Morrow si alternano alla batteria, Mike Flanigin al piano e Joe Hardy al basso ed è stato registrato ai Foam Box Recording Studios di Houston, Texas. “My Baby She Rocks” è un lento shuffle blues, strutturato sull’utilizzo dell’armonica lungo tutta la durata del brano.
“Second Line” è puro esercizio di stile, liriche ridotte all’osso e grande spazio alla parte strumentale con lunghi assoli di chitarra. Comunque sempre musica di ottimo livello. “Standing Around Cryin'” è la cover di un brano di Muddy Waters: uno slow blues di grande impatto, riletto in maniera impeccabile.
“Let The Left Hand Know” ancora blues elettrico notturno e sporco cantato con la voce roca di Gibbons, supportato da cori ed armonica.
“Bring It To Jerome” è un boogie blues malsano, quasi ipnotico e notturno. Da ascoltare in auto in piena notte è l’ideale come compagno di viaggio e contro i colpi di sonno.
“That’s What She Said” è un hard blues, sezione ritmica granitica, solita voce roca di Billy condita da armonica e chitarre che serpeggiano e sparano assoli lungo la durata del brano. “Mo’ Slower Blues” è ancora hard blues ma leggermente rallentato, con chitarra fuzzy, contorno di pianoforte e la voce del leader per un brano di grande presa.
Con “Hollywood 151” abbiamo un’inversione di rotta: è un rock blues dal sound pulito, fresco e frizzante; carina, ma continuo a preferire il classico sound di questo attempato signore dalla lunga barba.
“Rollin’ and Tumblin'” altra cover di Muddy Water, viene riletto in pieno stile ZZ Top: il sound è esattamente quello che abbiamo imparato a conoscere in tutti questi anni. Chiusura con la divertente e molto orecchiabile “Crackin’Up ” (Bo Diddley) riletta in versione easy listening, con accenni di musica caraibica che non sfigurerebbe pure nelle radio attuali. Artista eclettico e poliedrico (suona con chiunque, da John Fogerty ai Supersonic Blues Machine passando per Kid Rock, ZZ Hill, Nickelback, Hank III, ecc..)pubblica finalmente un album degno del suo nome.

Voto: ***1/2

Tracklist:

01 Missin’ Yo’ Kissin’
02 My Baby She Rocks
03 Second Line
04 Standing Around Crying
05 Let The Left Hand Know
06 Bring It To Jerome
07 Thats What She Said
08 Mo’ Slower Blues
09 Hollywood 151
10 Rollin’ And Tumblin’
11 Crackin’ Up

Kevin Gordon – Tilt & Shine (Crowville Media Rec., 2018)

Kevin Gordon - Tilt & Shine

Ascoltando le interessanti storie incluse nei racconti che compongono le canzoni di questo nuovo disco di Kevin Gordon, uscito a distanza di tre anni dal precedente, si riesce a capire il perchè viene definito, anche da molti suoi colleghi (Lucinda Williams, Buddy Miller e lo scrittore di musica Peter Guralnick, oltre ad avere alcune sue canzoni interpretate da artisti come Keith Richards, Levon Helm, Irma Thomas tra gli altri) come uno degli artisti più raffinati, letterati e talentuosi d’America.

Il suono della sua Gibson del ’56 produce un groove intrigante di swamp blues e sound della Sun Records, vintage ma anche imprevedibile come i testi che Kevin ama scrivere e cantare, ma è pure merito del produttore/chitarrista Joe McMahan (Patrick Sweany,Shelby Lynne & Allison Moorer) in grado di mantenere il suono crudo e ben radicato, come nell’iniziale ed inquietante “Fire At The End Of The World” con un riff del delta che ricorda RL Burnside ma anche i CCR e racconta la storia di Billy e del suo amico di 17 anni che partono per New Orleans alla ricerca dell’ “ostrica con dentro la perla”, accompagnati da una sinistra energia che le aleggia intorno. “Saint On A Chain” è più introspettiva col suo testo ambiguo, mentre “One Road Out (Angola Rodeo Blues)” col fraseggio duro e sudicio alla ZZ Top canta di carcerati alle prese con un pericoloso rodeo. il rock and roll alla Chuck Berry di “Right On Time” è vibrante anche se la storia su impenitenti nottambuli non è certo nuova, Gordon rinvigorisce il tutto con testi taglienti ed incisivi.
“DeValls Bluff” è un racconto inquietante su un ex detenuto che si aggira nei boschi, supportato da una musica lenta, a tratti onirica, che ti avvolge come la nebbia delle paludi della Louisiana. “Drunkest Man in Town” è un boogie blues sporcato da una chitarra tagliente ma reso elegante dal pianoforte in sottofondo.

La tristezza di essere lontano dai propri cari è dentro la ballata acustica “Rest Your Head” mentre la voce di Gordon si incrina per l’emozione quando canta “le ore e le frustrazioni non diventano nient’altro che dollari di carta di dimensioni sottili”.
In chiusura “Get It Together”, su un sound prettamente r’n’r blues canta della battaglia costante in età adulta, che evidenzia il divario tra sapere cosa devi fare e farlo davvero. Originariamente la resa doveva essere più rozza, quasi punk, ma sul disco finisce per essere una canzone di speranza, quasi positiva. Una cosa molto rara per questo cantastorie dalla pungente ironia capace con la sua musica di creare atmosfere tipicamente sudiste con storie popolate da giovani in cerca di una via di fuga, membri del Ku Klux Klan, macchine rubate, fucili nascosti in un MacDonald’s dopo uno show degli ZZ Top e personaggi reali come il bluesman Jimmy Reed e il folk singer indiano comanche Brownie Ford.
Alcune saranno anche storie vere, ma è il modo in cui Gordon elabora le sue parole per far riflettere sulla realtà, senza alcun cliché, che aiuta la musica a risuonare molto tempo dopo che l’ultima nota è sfumata.
Questo rende “Tilt e Shine” un ulteriore esempio di come il talento di Gordon continua a migliorare. Forse un giorno sarà ricompensato con un riscontro commerciale, che merita senza ombra di dubbio.

Voto: ****

Tracklist:

1 Fire at the End of the World
2 Saint on a Chain
3 One Road out (Angola Rodeo Blues)
4 Gatling Gun
5 Right on Time
6 DeValls Bluff
7 Drunkest Man in Town
8 Rest Your Head
9 Get It Together

Buddy Guy – The Blues Is Alive and Well (Rca Records, 2018)

Cover

Forse l’ultimo dei grandi bluesmen ancora in circolazione, a ottantuno anni ha ancora tanta voglia di suonare e fare musica, come dimostra questo suo nuovo lavoro che comprende ben 15 brani, più di un ora di ascolto prodotta da Tom Hambridge e che vede la partecipazione di ospiti illustri come Mick Jagger, Keith Richards, James Bay e Jeff Beck.
“A Few Good Years” apre il disco e la chitarra è subito protagonista con lunghi assoli rarefatti e d’atmosfera con la voce potente di Buddy ed un organo in sottofondo come un classico brano blues. “Guilty as Charged” è classico blues di Chicago solo da ascoltare con un piano che accompagna i lunghi assoli di chitarra del nostro. “Cognac” si avvale di Jeff Beck e Ketih Richards in qualità di super ospiti ed il risultato è un capolavoro di classic blues elettrico della durata di quasi cinque muniti e mezzo con le tre chitarre che si intersecano e creano un train sonoro di grande qualità. La canzone che da il titolo al disco è ben costruita e ben suonata ma è la voce di Buddy Guy che mantiene la potenza del passato e la presenza dei fiati arricchisce il sound. “Bad Day” è uno shuffle dallo stile classico: accenni di armonica e poco altro servono per mantenere una qualità sonora ed una classe ormai per pochi.”Blue No more” è uno slow blues di grande qualità col piano sugli scudi e l’ospite James Bay che presta la sua voce. “Whiskey for Sale” ha suoni più moderni (echi vocali, fiati e drum loop a creare un sound finto R&B), per fortuna ci pensa la chitarra slide che affonda diversi assoli da antologia. “You Did The Crime” vede ospite all’armonica Mick Jagger ed è un altro grande brano slow classic blues di Chicago: intro strumentale con piano chitarra ed armonica, avvolgente e notturno, poi entra la voce del bluesman ed il sound diventa più corposo e risulta fluido e coinvolgente.

“Old Fashioned” è un errebi di grande presa con i fiati in evidenza ma non raggiunge i livelli qualitativi dei brani precedenti come la successiva “When My Day Comes”, uno slow blues dignitoso ma nella norma ( comunque impressiona la vocalità di questo artista ultraottantenne), mentre la cover di Sonny Boy Williamson (ma resa famosa da Muddy Waters) “Nine Below Zero” viene riletta in maniera impeccabile. “Ooh Daddy” è un boogie blues che corre spedito e fa la sua figura, mentre “Somebody Up There” è un slow blues di grande impatto. “End of the line” classic blues con i fiati costruito su misura per Buddy Guy è trascinante e gli assoli di chitarra sono di gran classe.
Chiude il disco “Milking Muther for Ya” brano che sembra inciso in presa diretta con la voce di Guy in primissimo piano è un divertissement che dura meno di un minuto; è un modo originale per terminare un disco, tra l’altro dalla durata molto lunga (oltre un’ora di musica).
Comunque, il blues è vivo e sta benone.

Voto: ***1/2

Tracklist:

1 A Few Good Years
2 Guilty As Charged
3 Cognac (ospiti Jeff Beck e Keith Richards alle chitarre)
4 The Blues Is Alive And Well
5 Bad Day
6 Blue No More (ospite alla voce e chitarra elettrica James Bay)
7 Whiskey For Sale
8 You Did The Crime (ospite all’armonica Mick Jagger)
9 Old Fashioned
10 When My Day Comes
11 Nine Below Zero
12 Ooh Daddy
13 Somebody Up There
14 End Of The Line
15 Milking Muther For Ya

The Record Company – All Of This Life (Concord Rec., 2018)

The Record Company

In poco più di due anni sono passati da anonima bar band alla next big thing. Il precedente disco “Give It Back To You” (potete trovare una recensione su questo blog, ecco il link https://wp.me/p3cehQ-2uS) ha letteralmente aperto le porte del successo al trio di Los Angeles, sono diventati una celebrità che li ha portati ad un passo dal vincere il Grammy Awards ed aprire concerti di grandi artisti come per esempio BB King, Buddy Guy, Robert Randolph e John Mayer (in Italia aprirono per i Blackberry Smoke). Il nuovo lavoro mostra una maggior presa di coscienza anche se Chris Vos e soci hanno optato per qualche concessione in più ed un suono meno blues, decisamente più rock. Questo è da attribuire, dice il leader del trio, a quello che stanno ascoltando attualmente, più musica rock come Rolling Stones, Gov’t Mule e Marcus King anche se continuano ad ascoltare i loro miti blues da John Lee Hooker a Muddy Waters a Howlin’Wolf.
Di fatto la formula finale non cambia e propongono accattivanti ritmi rock che si tingono di blues, con refrain ripetitivi di derivazione garage rock.
“Life To Fix”, il brano iniziale ne è l’esempio lampante: sezione ritmica secca e potente con l’uso delle doppie voci in primo piano che poi lasciano spazio ad una chitarra tagliente. “I’m Gettin’ Better (and I’m feeling it right now)”, voce ed armonica su un sound quasi garage, immediato e sporco, ma sarebbe riduttivo fermarsi a questo, il brano guarda più in altro, verso un songwriting più maturo. In “Goodbye to the hard life” titolo presumo autobiografico, è il primo brano che propone un sound leggermente diverso, virato in questo caso alla ballata rock dove Chris Vos utilizza il falsetto nel canto, mentre il sound, oltre alle influenze soul, si ispira chiaramente alle grandi band dei seventies. Con “Make It Happen” è un ritorno alle sonorità blues con la slide di Vos che giganteggia sul ritmo marziale imposto dalla sezione ritmica, composta dal resto del trio (Alex Stiff, basso e chitarra e Marc Cazorla alla batteria e piano) e le voci dei tre che si intersecano e trasmettono energia.”You and Me Now” è un altro episodio lento ispirato: una ballata ariosa con spunti presi dal classic rock ed un’atmosfera che ricorda J.J. Grey & Mofro; tuttavia mantiene alto il livello del disco. “Coming Home” è un rock blues up tempo dettato dal battito di mani sopra il martellio della batteria, Chris Vos canta con grinta poi entra la chitarra e sventola riff assassini su un turbinio di cori.
Con “The Movie Song”, secondo il sottoscritto uno degli apici del disco, brano che rimanda ai Black Crowes dei fratelli Robinson ed ovviamente agli Stones, con influenze country ed un piano che impreziosisce il sound, governato dall’implacabile slide e dagli intrecci vocali che sono l’arma vincente di questo power trio losangeleno.

“Night Game” è un boogie blues notturno e malsano che è cresciuto non lontano dai bayou o dal delta del grande fiume. “Roll Bones” cantato con grande grinta da Vos ha un suono teso, il basso in grande evidenza e poi largo spazio alla slide; ricorda i primi Black Keys (ormai persi verso divagazioni moderniste e di poco interesse). Chiude “I’m Changing” brano acustico col piano in sottofondo, una chitarra acustica, la voce che passa dal falsetto a momenti con tonalità più scure, un’armonica e l’insieme ti fa inevitabilmente tornare alla mente ancora una volta i mai dimenticati The Black Crowes.
I Record Company sono tra le migliori band della nuova generazione: speriamo che diano maggior vigore e voglia agli artisti emergenti, visto che il loro obiettivo ormai l’hanno raggiunto.

Voto: ****

Tracklist:

01. Life To Fix
02. I’m Getting Better (And I’m Feeling It Right Now)
03. Goodbye To The Hard Life
04. Make It Happen
05. You And Me Now
06. Coming Home
07. The Movie Song
08. Night Games
09. Roll Bones
10. I’m Changing

Charley Crockett – Lonesome as a Shadow (Thirty Tigers Records, 2018)

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Charley Crockett è un giovane promettente country soul singer che con questo nuovo lavoro “Lonesome as a Shadow”, propone un’ interessante e piacevole meltin’ pot di suoni: il country texano si mescola con il soul di Memphis e l’aggiunta vincente dei sapori speziati di New Orleans: ha tutte le carte in regola per imporsi nel music business almeno a livello nazionale.

Crockett nasce in Texas ma fin da giovanissimo è attratto dalla musica e dal mondo che lo circonda e questa sua passione lo porta a visitare molti luoghi: da New Orleans a New York, da Parigi al Marocco, salvo poi tornare nel natio Texas e diventare professionista, debuttando nel 2015 con il disco “A Stolen Jewel”.

Il suo intreccio musicale è fatto di country e rock’n’roll anni cinquanta, blues e musica della Louisiana, al quale aggiunge giuste dosi di soul grazie al supporto della sua band ,i Blue Drifters, ovvero Emsy Robinson al basso, Mario Valdez alla batteria, Kullen Fox alle tastiere e fisarmonica, Alexis Sanchez alla chitarra, Nathan Fleming alla Pedal Steel Guitar e Charles Mills Jr alla tromba. Il disco è stato registrato presso gli storici Sam Phillips Recording Studios di Memphis, e si porta appresso una inevitabile patina vintage che ne impreziosisce il sound di tutti e dodici i brani.

L’apertura spetta ad “I Wanna Cry”, brano guidato dall’ accordion che ci trasporta direttamente sul border, ma che si intreccia ai ritmi honky tonk: in un’unica canzone troviamo accenti di musica che proviene da Louisiana, Messico e Texas. La voce di Crockett non è certo irresistibile, ma con questo suo modo un poco sgraziato di cantare si dimostra più personale, più originale.
La successiva “The Sky’d Become Teardrops” è country blues dal suono classico anni ’50 con la pedal steel sugli scudi, mentre “Ain’t Gotta Worry Child” è un gioiellino, un piacevole brano soul d’atmosfera con l’intervento dei fiati.
“How Long Will I Last” è un lento delicato stile fifties con il piano in sottofondo; le prime note di “If Not the Fool” mi ricordano il sound di JJ Grey & Mofro, infatti poi il brano punta al southern soul dei sixties.
“Help Me Georgia” è un altro brano lento di grande caratura soul, guidato da un organo e da splendidi interventi di tromba mentre la title track “Lonesome as a Shadow” parte acustica poi la sezione ritmica ed il piano boogie rivoltano il brano come un calzino, passando dalla ballata country all’ honk tonk boogie in un battito di ciglia.”Sad & Blue” e “Oh So Shaky” sono splendidi esempi di ballate soul, mescolate ora col jazz ora col blues, diventando sempre più intriganti ad ogni ascolto. Charley Crockett spezza ogni stile, ogni etichetta, mescola il country col soul oppure propone accenni jazz con estrema naturalezza. Tra questi due brani “Lil’ Girl’s Name” riporta ad un sound più classico, è un country con venature r’n’r anni ’50, mentre “Goin’ Back to Texas” è un bel rockabilly punteggiato dall’ accordion e da una tromba che, a differenza del titolo, sembra guardare verso lo zydeco ed accenni dixeland della Louisiana.
Chiude il dischetto il brano acustico “Change Yo’ Mind” voce, chitarra ed una tromba suggestiva in sottofondo. Piacevole, dal suono vintage semplice eppure ricercato, non mi serve altro, per ora.

Voto: ***

Tracklist:

1 I Wanna Cry
2 The Sky’d Become Teardrops
3 Ain’t Gotta Worry Child
4 How Long Will I Last
5 If Not the Fool
6 Help Me Georgia
7 Lonesome as a Shadow
8 Sad & Blue
9 Lil’ Girl’s Name
10 Oh so Shaky
11 Goin’ Back to Texas
12 Change Yo’ Mind