Grant-Lee Phillips – The Narrows (Yep Roc Rec. , 2016)

GrantLeePhillips_TheNarrows

 

Chi si ricorda del gruppo che spopolava nell’ ambito della musica alternative rock di inizi anni ’90 chiamata Grant -Lee Buffalo? Suppongo in pochi, purtroppo, quelli erano anni particolari per la musica, c’era un fermento particolare, il grunge era di moda, il rock sembrava subire una battuta d’arresto mentre andavano alla grande i generi alternativi.
Grant-Lee Phillips era il leader di quel gruppo che dopo poco tempo però si perse per strada e lui intraprese una carriera solista piena di alti e bassi e con un seguito certamente non ai livelli del periodo precedente.
Sinceramente l’ avevo perso un po di vista, l’ultimo suo album che comprai uscì nel 2009 col titolo “Little Moon” ma lo ricordo con piacere (piacque pure a mia moglie). Ora esce questo “The Narrow” che per inciderlo decide di trasferirsi  a Nashville (ultimamente questa città musicale sta rivivendo i fasti del passato, in quanto sono diversi i musicisti che hanno deciso di andarci a vivere con la famiglia al seguito, dopo un periodo in cui era di moda spostarsi ad Austin, in Texas) e lo registra nello studio Easy Eye, di proprietà del Black Key Dan Auerbach e si fa aiutare dal polistrumentista Lex Price (chitarra,basso, banjo) e dal batterista Jerry Roe per confezionare una collezione di brani classici, cantati con una voce ispirata e confidenziale, come nella folkish “Smoke and Sparks” oppure brani elettrici di caratura come l’opener “Tennessee Rain”, per non parlare quando sfocia nel country bluegrass con la ballad “Mocassin Creek” ( nel cui testo compare il titolo del disco).
“Cry cry” è una bella canzone di heartland rock che precede una ballata acustica dai toni suadenti “Holy Irons”. Fin qui il disco non mostra un difetto, e dopo è pure meglio con la bella ed ispirata “Yellow Weeds” oppure con il country punteggiato dal rockabilly di “Loaded Gun”.
Molto vario anche con i diversi generi musicali coinvolti, troviamo pure il southern rock in “Rolling Pin” oppure una “Just Another River Town” degna dei migliori songwriters sulla piazza ( Joe Ely, James McMurtry, John Hiatt per fare alcuni esempi). “Taking on weight in Hot Springs” con la slide sugli scudi riporta ai paesaggi aridi al limite del deserto,
“No mercy in July” è una superlativa ballad intimistica: batteria suonata con le spazzole, fiddle e le corde del banjo appena pizzicate accompagnano la voce calda di Grant-Lee.
“San Andreas Fault” è un altro brano di ottima fattura, strumentazione parca e una voce (notevolmente migliorata negli anni anche se è sempre stata ottima: nel 1995 la rivista Rolling Stone lo votò come migliore cantante maschile dell’anno ) che domina su tutto.
Chiude il disco un’altra ottima ballata “Find My Way” sorretta dalla chitarra acustica e dalla voce del nostro, che con un leggero riverbero diventa irresistibile.

Dischi come questo ne escono veramente pochi in un anno, datemi retta: almeno una possibilità bisogna concedergliela. Grazie Grant-Lee per il tuo disco più bello (finora) e per questa splendida musica.

Voto:8,0

Tracklist:

1. Tennessee Rain
2. Smoke And Sparks
3. Moccasin Creek
4. Cry Cry
5. Holy Irons
6. Yellow Weeds
7. Loaded Gun
8. Rolling Pin
9. Taking On Weight In Hot Springs
10. Just Another River Town
11. No Mercy In July
12. San Andreas Fault
13. Find My Way

 

 

Luther Dickinson – Blues & Ballads – A Folksinger’s Songbook: Volumes I & II (New Rose Rec., 2016)

Luther Dickinson Blues & Ballads

Luther Dickinson ha trascorso la maggior parte dei suoi quasi venticinque anni di carriera (iniziata prestissimo – negli studi Zebra Ranch del padre Jim, noto produttore e musicista in quel di Coldwater, Mississippi – prima come session man, poi con i suoi North Mississippi Allstars finanche come chitarrista dei famosi Black Crowes) cercando di attingere il più possibile alla vera sorgente della musica americana, ovvero il blues, country e folk provenienti da Memphis e dalle acque limacciose del Mississippi.
Questo terzo episodio solista (dopo Hambone’s Meditation del 2012 e Rock’n’Roll Blues del 2014) è un abbraccio intenso a quella tradizione, un lungo esercizio musicale proposto con le stesse modalità dei bluesmen di inizio secolo scorso, quindi abbastanza scarno nel suono, ma è ben coadiuvato nei ventuno episodi (per una durata che supera i 70 minuti) da numerosi artisti, colleghi ma prima di tutto suoi amici, come Jason Isbell (chitarra slide), Jimbo Mathus (banjo), Jimmy Crosthwait (washboard, maracas), Lillie Mae Rische(fiddle, vocals), Sharde Thomas (batteria, vocals), Alvin “Youngblood” Hart, Paul Taylor, Will Sexton , JJ Grey, Jim Lauderdale, Rev. Charles Hodges all’ organo, sino alle stupende voci di Mavis Staples ed Amy LaVere, con Dickinson che suona chitarra, mandolino e pianoforte.

L’album è dedicato a una coppia di suoi cari defunti: la nonna Martha che gli insegnò a suonare il pianoforte ed a leggere gli spartiti e suo padre Jim, che gli ha insegnato a utilizzare e ad amare il quaderno sul quale comporre le canzoni.

L’album è stato inciso per lo più allo Zebra Ranch, lo studio della famiglia Dickinson a Coldwater (Mississippi) con alcune canzoni registrate ai Royal Studios di Memphis e nella nuova dimora di Luther a Nashville.
La lunga lista di canzoni offre un mix di nuove composizioni e una manciata di suoi brani incisi in passato e rielaborati da Luther (scritte con Jimbo Mathus, Jim Lauderdale, Otha Turner, Lee Baker ed il padre Jim).
Un disco quindi eterogeneo ma anche molto personale. Si parte con il country folk “Hurry Up Sunrise” che contiene un bel duetto con Sharde Thomas (presente nel disco anche alla batteria), prima di cedere al dolore esistenziale di “Up Over Yonder ” con il supporto vocale di J.J. Grey e la slide di Jason Isbell che ricorda certe atmosfere accostabili a Ry Cooder. Si passa con disinvoltura dal blues al deep country, al gospel folk sino ad accenni di musica popolare celtica. Il fulcro emotivo dell’album è “Ain ‘t No Grave”, un gospel solenne e sofferto sulla morte del padre Jim, qui proposto in duetto con Mavis Staples, dove viene cantato con grandeammirazione il coraggio del padre Jim durante il passaggio dalla vita alla morte e riflette sulla ciclicità della vita, che ora riesce ad osservare dentro gli occhi del suo figlio neonato.
Tra le altre canzoni risaltano “Moonshine”, dolce e dal sapore folk, il country blues “Mean Ol’ Wind Died Down” con tanto di tamburi da marcia militare, slide guitar e flauto sugli scudi; il gospel gioioso di “Let It Roll” che riporta ad una chiesa battista la domenica mattina durante una funzione religiosa, il delicato country folk di “My Leavin’” , il valzer strappalacrime dal sapore celtico di “And It Hurts”, complice il triste violino di Lille Mae Rische,poi il rockabilly primordiale di “Blow Out”, il country delle Mississippi Hills di “Shake (Yo Mama)” sino alla conclusione della acustica e cristallina ”Horseshoe”.
Un disco non certo perfetto e non per tutti, ma in grado di elevare Luther Dickinson tra i grandi storytellers della nuova generazione musicale americana.

“Looked death dead in the eye as time passed me by.”
da “Ain’t No Grave”.

Voto:7,5

Tracklist:

Volume I
1. Hurry Up Sunrise 3:53
2. Up Over Yonder (featuring JJ Grey) 3:19
3. Bang Bang Lulu 3:43
4. Moonshine 4:40
5. Jackson 3:46
6. Mean Ol’ Wind Died Down 4:00
7. How I Wish My Train Would Come 4:32
8. Ain’t No Grave (featuring Mavis Staples) 3:51
9. Let It Roll 4:02
10. My Leavin’ 2:25

Volume II
11. Horseshoe (Reprise) 3:01
12. Highwater (Soldier) 3:06
13. And It Hurts 3:58
14. Storm 4:38
15. Mojo, Mojo 3:33
16. Ol’ Cannonball 2:44
17. Devilment 3:21
18. Blow Out 1:59
19. Mayor Langford Birmingham Blues 2:49
20. Shake (Yo Mama) 3:19
21. Horseshoe 3:46

The Westies – Six on The Out (Pauper Sky /Appaloosa, 2016)

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Il leader del gruppo altri non è che Michael McDermott, grande songwriter americano e loser al pari di altri grandi perdenti del rock come Willie Nile ed Elliott Murphy per fare un paio di esempi, tra l’altro con le stesse coordinate musicali. Paragonato a ragione da Stephen King a Springsteen e Van Morrison, McDermott è un rocker con una notevole capacità di scrittura presente nei suoi testi, che musicalmente si rifanno alla musica urban rock cara a Bruce, e la somiglianza è notevole, poi negli ultimi anni hanno aggiunto entrambi anche il violino (con Bruce c’è Suzie Tyrrell, mentre con Michael è presente la moglie Heather Horton).

Questo grande cantautore lo seguo sin dal lontano 1991 quando pubblicò l’album “620 W. Surf” prodotto da Don Gehman (The Blasters,Mellencamp)e posseggo tutti suoi album,alcuni davvero sublimi. Piccolo aneddoto: alcuni anni orsono mi recai con la famiglia ad un concerto di Michael ed Heather (eravamo in vacanza in Toscana) pensando che l’orario fosse il solito, dopo cena, intorno alle ore 21:00 arrivammo al locale ma con notevole stupore fummo informati dallo stesso Michael che il concerto era finito da poco in quanto era iniziato al tramonto (una regola del locale per i concerti estivi) quindi dinanzi alla nostra evidente delusione, imbracciò la chitarra nel parcheggio di quel locale e ci fece un concerto improvvisato di tre canzoni al quale seguirono ovviamente le foto di gruppo di rito. Questo simpatico episodio mi rimarrà impresso per sempre nella mente, in particolare per la reazione istintiva e positiva del nostro, il quale, nonostante la stanchezza ma spinto dalla sua passione ci fece un grande regalo.

Il disco in questione in Italia è distribuito dalla Appaloosa, con i testi originali e la traduzione in italiano. Tra le canzoni presenti segnalo “Pauper’s Sky” un bel blue collar rock dal sapore springsteeniano e
“Parolee” un incrocio tra Springsteen, Mellencamp ed un certo rock di derivazione celtica.
“Everything Is All I Want For You” è un urban rock alla Elliott Murphy, poi due canzoni che ci spostano a sud verso il confine: la ballata “Henry McCarthy” e la country oriented “Santa Fe”, canzone splendida che Bruce sembra non sia più in grado di scrivere (non è una provocazione, è la verità). “Sirens” conclude il disco e si tratta di un altro brano stupendo. Compratelo, ne vale la pena. Senza tema di smentita posso definire Michael McDermott uno dei migliori cantautori americani da scoprire.

Voto: 7,5

Tracklist:

1 If I Had a Gun
2 Pauper’s Sky
3 Parolee
4 Gang’s All Here
5 Like You Used To Explicit
6 Everything Is All I Want For You
7 Henry McCarty
8 Santa Fe
9 Once Upon A Time
10 This I Know
11 Sirens

Michael McDermott (vocals, acoustic guitar); Heather Horton (vocals, violino); Will Kimbrough (acoustic guitar, electric guitar, washboard); Lex Price (acoustic guitar, bouzouki, mandolino, upright bass, electric bass); Ian Fitchuk (keyboards, batteria, percussioni).

Registrato al The Casino, Nashville,Tennessee

“Michael McDermott è uno dei più grandi cantautori del mondo e forse il più grande talento non riconosciuto del rocknroll degli ultimi 20 anni”
STEPHEN KING

Artisti Vari – God Don’t Never Change: The Songs of Blind Willie Johnson (Alligator Rec., 2016)

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Blind Willie Johnson era un bluesman cieco degli anni ’20 poco conosciuto ma decisamente importante per l’influenza che ha lasciato ai posteri, ha scritto diversi brani che sono ormai dei classici del blues come The Soul of A Man, John The Revelator, It’s Nobody’s Fault But Mine: brani ormai considerati come dei traditional.
Dobbiamo ringraziare il produttore Jeffrey Gaskill se possiamo ascoltare un album tributo di simile portata e con un’ottima scelta degli artisti coinvolti. In primis Tom Waits, grande personaggio ed interprete che dopo molti tentennamenti ha accettato di partecipare, addirittura con due canzoni: la prima, “Soul of a Man” apre il disco in maniera splendida con tutta la famiglia Waits coinvolta; Tom alla voce, il figlio Casey alla batteria, mentre alle backing vocals la moglie di Tom, Kathleen Brennan; poi “John The Revelator” ancora Tom alla voce, Cigar box guitar e banjo, ed il solo figlio Casey alla batteria. La canzone è stata registrata in una miniera (!!) e malgrado sia stata incisa precedente da innumerevoli artisti, Waits la rende unica e particolare come solo lui sa fare.
Tra gli altri artisti coinvolti nel progetto troviamo poi Lucinda Williams che è la sola, assieme a Waits ad interpretare due canzoni: “It’s nobody Fault But Mine” risulta un tosto blues elettrico (la Williams è supportata dalla sua attuale band) con protagonista la sua voce su un sound potente e diretto, che difficilmente potrebbe uscire da un suo album dato che la sua tendenza è quella di proporci stupende ballate pigre e indolenti.
Il secondo brano proposto,”God Don’t Never Change” è ancora una grande interpretazione, un blues che inizia con la sola voce della Williams, che poi cresce di intensità e cede il passo alla chitarra di Doug Pettibone, sempre in forma smagliante. Poi segnalo Luther Dickinson splendido artista del sud degli States (figlio del mitico Jim,lo storico musicista/produttore che ha creato il famosto studio Zebra Ranch, ha suonato con una moltitudine di gruppi come i “suoi” North Mississippi Allstars dei quali è il leader, The Word con Robert Randolph e poi in dischi con Anders Osborne,John Hiatt, David Hidalgo, Willy DeVille, Alvin Youngblood Hart e Jimbo Mathus, e come chitarrista nei Black Crowes dei fratelli Robinson dal 2007 al 2013) che rilegge con una versione di blues classico “Bye Bye I’m Going To See The King” aiutato per l’occasione da Amy Lavere e Shard Thomas.
La coppia Derek Trucks & Susan Tedeschi ci regala una splendida versione quasi a cappella (chitarra acustica e battimani gli “strumenti” utilizzati) del brano “Keep Your Lamps Trimmed and Burning” con le voci dei coniugi coadiuvate da quella di Mike Mattison.
I Blind Boys of Alabama di Jimmy Carter ci regalano un’ ottima interpretazione del brano “Mother’s Children Have a Hard Time” col supporto di Jason Isbell alla chitarra slide e di Pete Levin al piano: ne scaturisce un grande brano blues gospel.
Finalmente la bella e potente voce di Maria McKee torna a farsi sentire con il brano gospel “Let Your Light Shine on me” e ci si chiede il perchè si sia allontanata dalla scena musicale ormai da diversi anni. Una delle voci femminili più belle, potenti e selvagge dell’ intero panorama roots rock degli anni ’90 (infatti all’ epoca si erano interessati al suo gruppo “The Lone Justice”, artisti del calibro di Brian Setzer, Steven Van Zandt, Bruce e Tom Petty).
Un’altra cantante che è sparita dalla circolazione (mi pare, visto che non la seguo con un certo interesse) da qualche tempo è l’irlandese Sinead O’Connor che ci offre un ottimo gospel per la sua versione del brano “Trouble Soon Be Over”.
Operazione particolare per la versione dei Cowboys Junkies del brano “Jesus is Coming Soon” dove la voce della leader Margo Timmins doppia la voce originale di Blind Willie Johnson, per chiudere con un’ altra voce femminile, la cantautrice Rickie Lee Jones si misura col brano “Dark Was The Night, Cold Was The Ground” (forse il brano più conosciuto) con un’interpretazione personale, introspettiva ma anche molto ostica, al momento non riesco ad assimilarla positivamente. Tuttavia, si tratta nel complesso di un disco da avere, sia per riscoprire le gemme nascoste di un autore quasi sconosciuto sia per ascoltare le splendide interpretazioni di artisti di grande livello.
Voto: 8,0

Tracklist:

1) Soul Of A Man (Tom Waits)
2) It’s Nobody’s Fault But Mine (Lucinda Williams)
3) Keep Your Lamp Trimmed And Burning (Derek Trucks and Susan Tedeschi)
4) Jesus Is Coming Soon (Cowboy Junkies)
5) Mother’s Children Have A Hard Time (The Blind Boys of Alabama)
6) Trouble Will Soon Be Over (Sinéad O’Connor)
7) Bye And Bye I’m Going To See The King (Luther Dickinson feat. The Rising Star Fife & Drum Band)
8) God Don’t Never Change (Lucinda Williams)
9) John The Revelator (Tom Waits)
10) Let Your Light Shine On Me (Maria McKee)
11) Dark Was The Night, Cold Was The Ground (Rickie Lee Jones)

Marlon Williams – Marlon Williams (Dead Oceans/Goodfellas, 2016)

Marlon Williams

 

Questo nuovo personaggio nel panorama musicale di genere “americana” , un venticinquenne proveniente da un paesino di tremila anime nella lontana Nuova Zelanda possiede tutte le carte per poter sfondare a livello internazionale; infatti il disco, uscito lo scorso anno solo per il mercato nazionale, è ora disponibile anche da noi grazie all’interesse della Dead Oceans che ha azzardato una distribuzione internazionale la quale è stata brava a  riconoscergli le sue potenzialità.
Un ottimo mix tra le murder ballads di Nick Cave, il gospel e l’outlaw country di un giovane Johnny Cash con echi Roy Orbison e pure accenni folk: ecco che abbiamo scomodato autentiche icone musicali per descrivere la musica drammatica e oscura presentata in questo dischetto che supera di poco la mezz’ora di durata.
In precedenza ha già avuto esperienze a livello nazionale con il gruppo The Unfaithful Ways, arrivando a farsi conoscere anche nella vicina Australia, poi la decisione di passare ad una carriera solista preceduta da alcuni solo tour in compagnia di Cory Chisel e Robert Ellis oppure come opener di artisti americani come Justin Townes Earle o Lindi Ortega nei loro tour in Australia, poi il ritorno in Nuova Zelanda per registrare il disco sotto il controllo di Ben Edwards in sede di produzione, mixaggio ed ingegnere del suono.
Nonostante la giovane età, Marlon Williams appare maturo ed interpreta le canzoni con grande personalità: “Hello Miss Lonesome” posta in apertura, è una western song che richiama i paesaggi spazzati dal vento e mi ricorda l’incedere ritmico delle canzoni di gruppi come The White Buffalo.
“After All” inizio secco poi vira subito verso una melodia west coast periodo sixties; “Dark Child” è una grande ballata dalle atmosfere oscure e dark; per raggiungere la vetta con “I’m Lost Without You” splendido esempio di ballata semplice ( ma ben arricchita da archi e backing vocals)  talmente efficace da poterla accostare senza problemi a canzoni r’n’r/pop del grande Roy Orbison. “Lonely side of Her” ballata acustica sorretta dalla chitarra arpeggiata e dalla splendida voce di Marlon che qui sembra un novello Elvis Presley.
Poi troviamo una rilettura di “Silent Passage”, un brano country di un cantante canadese misconosciuto, tale Bob Carpenter con l’aggiunta di cori west coast; “Strange Things” è una ballad elettroacustica che ha l’andatura del valzer col violino sugli scudi, segue il triste traditional “When I was a Young Girl” che forse non raggiunge le vette interpretative di Nina Simone ed alla fine risulta pure un poco tedioso, ma è questione di un attimo e ci ritroviamo ad ascoltare uno splendido brano acustico, una sorta di preghiera con “Everyone’s got Something to Say” che chiude un disco destinato a far parlare di se per la semplicità con la quale il giovane autore riesce a far emergere in maniera del tutto naturale le proprie qualità artistiche.

Voto: 7,5

Track List:

01.Hello Miss Lonesome
02.After All
03.Dark Child
04.Lost Without You
05.Lonely Side of Her
06.Silent Passage
07.Strange Things
08.When I Was A Young Girl
09.Everyone’s Got Something to Say

Professor Louie & The Crowmatix – Music From Hurley Mountain (Woodstock Rec., 2016)

Prof. Louie

 

Il mitico gruppo The Band vive ancora. Il suono di Professor Louie & the Crowmatix danno la sensazione che Garth, Levon, Rick, e Richard rivivano nel loro periodo di massimo splendore.Quello che manca è la voce di Levon. Ma questi ragazzi non sono dei semplici emuli: per circa quindici anni Louie Hurwitz e la sua band ha suonato proprio con The Band in studio come session men, con Hurwitz in qualità di produttore dal 1993 sino al 2000.

Il gruppo vede oltre al leader la presenza di  Miss Marie alla voce, piano e percussioni , Gary Burke alla batteria (Bob Dylan, Joe Jackson), il chitarrista John Platania (in passato con Van Morrison) ed il bassista  Frank Campbell (Steve Forbert, Levon Helm).

La title track del disco risente delle radici spiritual e da work-song. Originariamente intitolato “My Latest Sun Is Sinking Fast”, il brano “Angel Band” risale al 1860 e gli Stanley Brothers lo portarono al successo nel lontano 1955 ma fu rieditata nel 2000 quando fu inserita nella colonna sonora del film O Brother, Where Art Thou?; la nuova versione dei Crowmatix è un bel gospel country con la fisarmonica del professore in sottofondo.
“Light in Your Eyes” ricorda quei brani di fine anni ’50 con influenze gospel su una base rock’n’roll, stile Sam Cooke alle prese col nuovo genere, successivamente denominato soul.

Segue “Ashton” cantata da Louie dona un pizzico di country ma aggiunge pure un tocco di  melodia malinconica.Sia liricamente che melodicamente, “Crop Dustin’ Blues” è una rielaborazione del famoso hit degli Animals del 1965 “We gotta get out of this place”

Professor Louie e Miss Marie poi ci provano un classico di Jimmy Reed “You Got Me Dizzy” uno shuffle soulful degno dell’originale.

È un po’ difficile da classificare questo disco. Registrato ad Hurley, cittadina a dodici miglia dalla ben più famosa Woodstock, presso gli studi LRS Recording racchiude tutto lo spirito e la musica di quel leggendario gruppo.

Tracklist:

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I dischi migliori del 2015 – Top 20

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E’ giunto il momento di fare un resoconto su quanto si è ascoltato quest’anno e devo ammettere che diventa sempre più difficile dover stilare una classifica e scegliere i migliori dischi usciti durante l’anno. Sono riuscito a raccogliere una top 20 lasciando fuori, mio malgrado, dischi di ottima fattura come quello di Tom Jones, James McMurtry, Jimmy LaFave, Jimbo Mathus, John Moreland, Jason Isbell e diversi altri.

Ecco la classifica:

20 Vintage Trouble – 1 Hopefull Rd.

19 The Waterboys – Modern Blues

18 Papa Mali – Music is Love

17 Steve Earle & The Dukes – Terraplane

16 Jesse Malin – Outsiders

15 Dwight Yoakam – Second Hand Heart

14 The White Buffalo – Modern Times

13 Danny and the Champs – What Kind Of Love

12 Lucero – All A Man Should Do

11 William Elliott Whitmore – Radium Death

10 Ryan Bingham – Fear and Saturday Night

9 Patric Sweany – Daytime Turned To Nighttime

8 Phil and Dave Alvin – Lost Time

7 Joe Ely – Panhandle Rambler

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6 Warren Haynes feat. Railroad Earth – Ashes & Dust

5 Los Lobos – Gates of Gold

4 Anderson East – Delilah

3 J.J.Grey & Mofro – Ol’ Glory

2 Nathaniel Rateliff & the Night Sweat – Omonimo

1 Chris Stapleton – Traveller

Probabilmente, dovessi rifarla domani cambierei la disposizione oppure sostituirei qualche titolo ma alla fine ciò che conta è che un altro anno ci ha regalato grande musica e senza di questa, la vita sarebbe molto più dura….Saluti a tutti.

Keep on rockin’ !!

Massimo

 

 

Shawn Mullins – My Stupid Heart (Sugarhill/Rounder Rec.,2015)

Mullins

 

Erano anni che Shawn Mullins non si presentava con un nuovo album, complice un periodo di vita travagliata (ben due divorzi nel giro di pochi anni). Il musicista di Decatur, Georgia, ha cominciato a rendersi visibile al grande pubblico con l’album Soul’s Core del 1998, ma Mullins in precedenza aveva esordito con Better Days (1992), seguito due anni dopo da Big Blue Sky (1994) mentre è del 1996 il successivo Eggheels.
Un salto di quattro anni per Beneath The Velvet Sun (2000), seguono ancora sei anni di silenzio che portano alla pubblicazione di 9th Ward Pickin Parlor (2006), Honeydew (2008) ed il disco dal vivo Live At The Variety Playhouse (2008) fino all’ultimo lavoro in studio,di cinque anni orsono, Light You Up (2010).
Questo nuovo lavoro è prodotto dalla cantante country Lari White e registrato al The Holler di Nashville con il supporto di diversi musicisti di valore come il marito della produttrice, Chuck Cannon alla chitarra acustica e seconda voce, Dan Dugmore alla pedal steel guitar, Jerry McPherson alla chitarra elettrica, Gerry Hansen alla batteria e percussioni, Michael Rhodes al basso, Guthrie Trapp al mandolino, Radoslav Lorkovic alla fisarmonica e piano wurlitzer e Matt Rollings al pianoforte.

My Stupid Heart inizia con una superba ballata “The Great Unknown”, segue il brano “It All Comes Down To Love” un talkin’ folk cantautorale, ma verso la metà gli strumenti incontrano le voci e diventa corale e intensa; poi la bella “Ferguson” con protagonista la voce calda di Shawn ed una chitarra stile western che spazia per tutto il brano con una serie di assoli ed i cori quasi gospel che danno ulteriore spessore alla ballata, mentre “Roll On By” ha una struttura classica gradevole, è sorretta dalla fisarmonica e dal mandolino.
“My Stupid Heart” inizia acustica poi lentamente apre agli altri strumenti e cambia, prende corpo e diventa una grande canzone.
“Go And Fall” è un brano cantato con grande intensità ma forse è il meno coinvolgente del disco; dopo troviamo una magnifica “Gambler’s Heart”, evidenziata da un’ acustica e dal piano di Matt Rollings, poi ancora la pianistica “Never Gonna Let Her Go” e “Sunshine” delicata e melodica.
Chiude il brano ragtime blues “Pre-Apocalyptic Blues”, dove emergono il trombone di Roy Agee, la fisarmonica di Lorkovic ed il pianoforte di Rolling, sapientemente contrappuntato dai cori.
Abbiamo atteso a lungo ma Mullins non è uno che tradisce, un album dal sound ricco, caldo e coinvolgente, da ascoltare in questo periodo invernale.

Voto: 7,5

Track list:

1. The Great Unknown
2. It All Comes Down To Love
3. Ferguson
4. My Stupid Heart
5. Roll On By
6. Go and Fall
7. Gambler’s Heart
8. Never Gonna Let Her Go
9. Sunshine
1o.Pre-Apocalyptic Blues

Shemekia Copeland – Outskirts of Love (Alligator Rec.,2015)

Shemekia

Figlia d’arte, proprio il padre Johnny Clyde Copeland l’ ha avviata al mondo della musica ormai tanti anni fa, e lei ha ripagato sfornando diversi album di buona fattura sino al migliore del lotto, per ora, quel “Wicked” datato anno 2005.
Si ripropone quest’anno con una schiera di collaboratori di prim’ordine come Oliver Wood alla chitarra (che produce pure il disco), Lex Price al basso, Jano Rix alla batteria, percussioni e tastiere, e si aggiungono gli “special guest” Billy Gibbons degli ZZ Top alla chitarra in “Jesus Just Left Chicago”, Alvin Yougblood Hart alla chitarra e voce in “Cardboard Box” e Robert Randolph che suona la sua sacred steel guitar nel brano “Crossbone Beach”. Shemekia è dotata di una voce bella, sinuosa ed allo stesso tempo potente; lo si può verificare nei brani che compongono questo nuovo lavoro, tutti registrati con ottima cura e che riprendono la tradizione blues e r&b.
Il brano omonimo apre il disco con una scossa rock ed r&b, elettrica e trascinante con i cori in sottofondo e la voce di Shemekia a risaltare su tutto.
“Crossbone Beach” viaggia sempre in territorio R&B ma con forti venature funky. Segue il vecchio brano di suo padre “Devil’s Hand”, un tosto R&B sorretto dalla bella voce della cantante ed allietato dai fiati in sottofondo.
La ballad “The Battle Is Over” parte con cowbell e con l’ottima chitarra di Wood poi il sound si riempie con la batteria e la voce di Shemekia che creano un ottimo brano di impostazione rock blues.
“Cardboard Box” è un brano di stampo folk blues caratterizzato dalla presenza di Alvin Youngblood, uno dei migliori brani dell’album, insieme al successivo e country oriented “Drivin’ Out Of Nashville” e alla ballad gospel soul “I Feel A Sin Coming On”. Di seguito un brano di Jesse Winchester,”Isn’t That So” riveduto in stile Big Easy, mentre Billy Gibbons si destreggia nello slow-blues “Jesus Just Left Chicago” tratto dal repertorio degli ZZTop (era presente nell’album Tres Hombres).
Il classico e stupendo brano “Long As I Can See The Light” del grande John C.Fogerty è un altro dei momenti più alti dell’album, seguita poi da “Wrapped Up In Love Again” un brano blues classico di livello inferiore rispetto al resto del disco.
Il disco termina con “Lord, Help The Poor And Needy” una ballata a firma dell’ eroina Jessie Mae Hemphill con lo stile vocale che ricorda da vicino la grande Mavis Staples.

Voto: 7,0

Tracklist:

01. Outskirts Of Love (4:02)
02. Crossbone Beach (3:49)
03. Devil’s Hand (3:42)
04. The Battle Is Over (But The War Goes On) (3:54)
05. Cardboard Box (2:59)
06. Drivin’ Out Of Nashville (3:16)
07. I Feel A Sin Coming On (3:50)
08. Isn’t That So (3:16)
09. Jesus Just Left Chicago (4:33)
10. Long As I Can See The Light (3:19)
11. Wrapped Up In Love Again (3:02)
12. Lord, Help The Poor And Needy (3:09)

Glen Hansard – He Didn’t Ramble (Anti Records, 2015)

Hansard

Dopo aver acquistato grande visibilità con la sua pregevole versione di “Drive All Night” di Springsteen e la successiva pubblicazione di due EP, questo bravo artista irlandese che rimanda inevitabilmente a Van Morrison, si ripresenta con questo album che ha come unico difetto il fatto di essere troppo patinato. E’ un peccato veniale, in quanto il progetto è ambizioso e vuole arrivare ad un pubblico maggiore, ampliare i propri ascoltatori, però penso che Hansard giochi le carte sbagliate, puntando su suoni troppo morbidi e suadenti anzichè su una strumentazione più folk, anche se per fortuna possiamo contare sulla presenza del bel brano “Lowly Deserter” violini e mandolino sugli scudi ai quali si aggiungono i fiati che rimandano allo Steve Earle influenzato dai suoni della Big Easy, e ci danno un’idea su come Glen potrebbe sviluppare il proprio sound in futuro.
“Grace Beneath the Pines” apre il disco con sonorità gospel dal tessuto orchestrale
(organo, piano, fiati e gli archi) ma quando la canzone termina sembra come incompiuta.
“Wedding Ring” è decisamente migliore: struttura acustica per una canzone che lascia il segno. “Winning Streak” è morrisoniana e viene proposta con un sound fresco e moderno. “Her Mercy” inizia lenta e rarefatta, una batteria accennata ed un organo in sottofondo ricorda alcune canzoni di Bruce, poi entrano i fiati ed un coro gospel femminile a dare maggior enfasi ad una canzone molto bella.
Il resto sono una serie di canzoni malinconiche ed autunnali adatte in questo periodo, però non mi entusiasmano molto; per fortuna il disco si chiude con una ballata acustica di spessore: “Stay the Road” voce, chitarra acustica e poco altro, che ci consente di avere un ripensamento sul lavoro di Hansard.
Tirando le somme direi che è un disco poco più che sufficiente, considerando le potenzialità di questo cantautore. Forse sono un pò troppo esigente, ma mi auguro che in futuro riesca a garantire risultati nettamente superiori.

Voto: 6,5

Tracklist:

1. Grace Beneath the Pines
2. Wedding Ring
3. Winning Streak
4. Her Mercy
5. McCormack’s Wall
6. Lowly Deserter
7. Paying My Way
8. My Little Ruin
9. Just to Be the One
10. Stay the Road