John Moreland – Big Bad Luv ( 4AD Record. , 2017)

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Big Bad Luv, album dalla lunga gestazione (è stato registrato in quasi undici mesi a Little Rock, Arkansas, con un gruppo di musicisti di Tulsa, città natale di Moreland, con le registrazioni intervallate a gite turistiche e tempo dedicato alla propria vita quotidiana) arriva dopo due album introspettivi (anche se il suo esordio risale al 2008 con l’album rock “Endless Oklahoma Sky” inciso con la Black Gold Band) che mettevano in risalto i demoni interiori di questo artista dell’ Oklahoma, un ragazzone buono d’animo e dalla stazza enorme che ora si rifà vivo con una serie di brani che sanno di heartland rock, che narrano di vita quotidiana con i suoi problemi legati all’amore, alla fede, ai propri luoghi ed alla famiglia.
Big Bad Luv è stato mixato da Tchad Blake (che in passato ha lavorato con artisti del livello di Al Green, Los Lobos e Tom Waits) e rappresenta un approccio a melodie più briose, il ritorno ad un sound più rock ma anche di ballate romantiche. Importante è stato il supporto di una band per le registrazioni del disco: con le chitarre di John Calvin Abney, il dobro di Jared Tyler ed in particolare piano ed organo di Rick Steff (preso in prestito dalla band di Memphis del leader Ben Nichols, i Lucero) nonostante la lunga gestazione, in realtà le registrazioni sono state brevi ed istintive, da buona la prima.

Il primo singolo “It Don’t Suit Me (Like Before)” è già una dichiarazione d’intenti con chitarre in abbondanza, complice un refrain di sicura presa.
“Sallisaw Blue” è puro spirito country blues da festa nel “back porch”, con accenni rock’n’roll del piano ed un assolo di armonica nel finale. “Old Wounds” è una bella ballata roots cantautorale supportata da una chitarra acustica, una slide ed una batteria che scandisce il tempo.
In apertura, nella successiva “Every kind of wrong”, emerge lo stile fingerpicking di John nel suonare l’acustica, poi entra il gruppo ed il brano si trasforma, complice l’ottimo lavoro della slide e del pianoforte.
Ancora il pianoforte grande protagonista nella ballata “Love Is Not An Answer”, è uno dei momenti più alti del disco, mentre la successiva “Lies I Chose to Believe” è malinconica e mi ricorda alcuni brani di Michael McDermott oppure lo Springsteen più intimista. “Amen, So It Be” è puro heartland rock, “No Glory In Regret” è solo voce e chitarra ma per nulla tediosa, mentre la successiva “Ain’t We Gold” vira al rock’n’blues, confermando una grande duttilità nei suoni e nella voce di John.

“Slow Down Easy” percorre ancora territori blues ma bagnati dal soul del sud degli States, aiutato dalle voci femminili, dal pianoforte (grande protagonista del disco) e dalla slide che serpeggia lungo tutto il brano, malinconico e profondo, una sorta di preghiera che cerca invano il perdono.
Chiude il disco “Latchkey Kid” altro episodio acustico che mi porta ad accostarlo ancora una volta a Michael McDermott, grande esponente di una generazione perduta di cantautori a stelle e strisce.
La voce leggermente roca e suadente di Moreland, l’attaccamento alla cultura americana, lo scrivere storie che diventano dei racconti, lo fanno emergere dall’underground musicale dove era confinato sino al lavoro precedente, quel “High on Tulsa Heat” del 2015, che il sottoscritto, tuttavia aveva apprezzato, e molto.

Voto: ****

Tracklist:

1. “Sallisaw Blue”
2. “Old Wounds”
3. “Every Kind of Wrong”
4. “Love Is Not an Answer”
5. “Lies I Chose to Believe”
6. “Amen, So Be It”
7. “No Glory in Regret”
8. “Ain’t We Gold”
9. “Slow Down Easy”
10. “It Don’t Suit Me (Like Before)”
11. “Latchkey Kid”

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